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"BEST OF" dei Fairground Attraction.
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BEST OF
Fairground Attraction
(BMG)
Chi osa non ricordarsi di questa band che nel 1987 spopolò per il mondo con il loro singolo “Perfect”, peste lo colga!
Amo profondamente questo gruppo per la loro cura e scelta musicale che - ahymè - non brillò per durata nel tempo.
Perché allora porre alla vostra cortese attenzione una raccolta che - di per sé - raccoglie un paio di dischi ed alcune versioni live?
Perché care le mie mascherine, lo spessore di una band o di un artista, non necessariamente dipende dalla presenza nelle classifiche permanenti o in una discografia piena di singoli ed LP.
Visto che fin dall’inizio anch’io scelsi di proporre solo elementi di valore tra le recensioni della Start, ed allora loro non potevano certo mancare.
Il genere un po’ folk/country e godibilmente soft pop, hanno reso questa band britannica immediatamente riconoscibile, già dalla scelta degli strumenti quali chitarra classica e banjo, fisarmonica, percussioni, batteria e spazzole, contrabbasso e solo a tratti, piccoli elementi di tastiera e chitarra elettrica.
Dicevamo: “Perfect” è il poster di questa band (che in parte ha proseguito nel percorso della solista e cantautrice scozzese Eddi Reader). È un brano che esprime positività e gioco. Gusto nella composizione e dinamica.
Si segue l’ascolto di questa raccolta, con una cover molto delicata: “Do you want to know a secret?” tratto dal repertorio dei primi Beatles. Intimista e rarefatta.
“A smile in a whisper” è una ballata “essenziale” sotto la lucida presenza di stelle in un cielo profondo.
Un pezzo che immediatamente mi rimanda ad immagini natalizie (scusate la banalità!!) per la pulizia e senso di bello. “Le parole non sono adatte ad esprimere l’amore, quanto un sorriso in un bisbiglio fa”. Questo il senso ripetuto con grazia in questa canzone.
La ripresa di un pezzo di Patsy Cline (del 1957) ci coinvolge in questa immaginaria passeggiata notturna: “Walking after midnight” è esattamente un esempio della loro ricerca stilistica. Mantiene le sonorità originali, amplificandole con un ritmo più veloce ed incalzante e colori folk.
E la ricerca notturna del proprio amore, prosegue con toni limpidi ed aperti con un loro componimento: “Find my love”. Devo dire che il timbro della cantante, si presta ed amalgama con questo senso di stupore e limpidezza. Gioia per le cose semplici e sguardi sul mondo ed i paesaggi del cuore.
Ve lo dico prima; non potete non cercarvi qualcosa di questa band, perché sarebbe un crimine nei confronti di un “proprio sentire”. Nei confronti di una coltura necessaria dei sentimenti.
Detto questo, proseguiamo con l’ascolto di questo disco/raccolta, datato 1994.
Un’altra cover - questa volta tratta dal repertorio di Sam Cooke - ci si svela con delicatezza ed introspezione: “You send me” (1957).
Un cappello intrecciato da alcune corde di chitarra appena percepite, ed il contrabbasso, ci accompagnano in un caldo abbraccio all’interno di questo brano che - in questa versione - acquisisce delicatezza e purezza.
Ci si alza, con un ritmo sincopato e puntellato con la successiva “The moon is mine” in un’atmosfera molto ‘60s, per poi approdare alla meravigliosa “Moon on the rain” che placa la sete ed allarga lo sguarda, in questo suo alternarsi di grancassa, ed ampie legature tratteggiate da fisarmoniche e banjo.
Ascoltando questa canzone, mi vien voglia di alzare lo sguardo al cielo, cercando di ripercorrerlo attraverso quei confini arrotondati. Quelle “coperture a cupola” che in un oscillare di curiosità e stupefacenza, lascia piovere gocce di pioggia e neve sopra i protagonisti di un ignaro souvenir.
Favolosa la coda di questa canzone….
Un tre quarti grintoso, si appropria violentemente della nostra attenzione con “Winter rose”, per poi lasciarci abbandonati e confusi tra le braccia della delicatissima e carezzevole “The wind knows my name”.
Viene da piangere poi quando vengo poi affidato alla successiva “Comedy waltz” (versione live). È quasi se un senso più alto di protezione ti potesse suggerire di arrendere i muscoli e le armi; le parole inutili quasi devoti ad un silenzio, che sa di caldo, di familiarità. Di pace.
Molti cantanti - volendo inserire nel proprio repertorio una canzone d’effetto - come tante fotocopie decidono di reinterpretare quell’Alleluja che oramai, sembra essere l’unico ( parlo dello strepitoso pezzo di Leonard Cohen).
Quello che invece ci propongono i Fairground Attraction (e che invito fortemente a conoscere), è un “Alleluja” che sa di ritrovamento. Di sacro. Di cuore capace finalmente di riconoscere i sentimenti, di stupire partendo dal “primo di un milione di baci”…..
Il bello dello scorrere tra le tracce di questo disco, è la consapevolezza di sentirsi legati da fili di lana, caldi da non volersi liberare, fragili da non volerli spezzare.
“Ay found kiss” è una canzone perfettamente in equilibrio rispetto a questa mia certezza. Voce, breve arpeggio di chitarra acustica, ed un lieve contrabasso sul fondo.
Riprende il ritmo con sounds rubati dalle rive del Mississipi con “Clare”, e “Watching the party”, per poi giungere alla conclusione di questo lavoro, che non potrebbe che terminare con il pezzo che ha dato il nome alla band (o viceversa?): “Fairground Attraction”.
Il brano è a metà strada tra le immagini ed il gusto di Fellini ed un più attuale Tim Burton.
Tra malinconie, carrilon, giostre e personaggi di un fumoso luna park, si articolano ritmi e sensazioni quasi al limite della follia. Un brano brevissimo ma altamente suggestivo.
Allora che fate ancora lì?
Non correte a cercarlo in giro questo disco?
Christos.


