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"EDERLEZI".
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EDERLEZI
Goran Bregovic
(Mercury / Polygram - 1998)
Ed in una sorta di “pompa magna”, ecco che nel 1998 l’autore e musicista Goran Bregocic, realizza il primo di una serie di raccolte per lo più di musiche e canzoni tratte dai film di Emir Kusturica, dove appunto per moltissimi anni lui ha contribuito al successo, palesando al mondo quello che per molti era sconosciuta: la musica balcanica.
Una sorta di autocelebrazione lecita, davvero bella, nata e sugellata sotto quello che è una festa di molte famiglie della comunità serba: l’Ederlezi.
Una festa che nell’immaginario rimanda a sagre di paese, a circhi colorati. A canti dissonanti e a voci molto particolari.
Ma, all’invito, hanno risposto anche molti interpreti meno “circoscritti geograficamente”, come Cesaria Evora, Iggy Pop, Ofra Haza.
Ed in un’ipotetica notte di attesa, quasi per una vigilia, ecco che il canto del protagonista si spande, rude e rugosa. Il pezzo in questione è la brevissima e visiva “La Nuit”. Canzone corale ed evocativa.
Ed in questa notte, fatta di attese e preparativi, ecco che a risposta, un coro femminile inneggia ed anticipa la festa, in questo assaggio composto anche di suoni di acqua ed abluzioni; di chiacchere e di suoni tratti da una televisione lasciata accesa in “Ederlezi”(part1).
La banda accorda i suoi strumenti. Dissonanti. Apparentemente sfiatati. Tromboni e trombe. Un coro maschile inizia a prendere il ritmo, portando il fiato ad i battiti cardiaci ad aumentare, per sfinirsi - di certo - in balli al limite della resistenza umana.
“Mesecina / Moonlight”.
Il primo ospite, Iggy Pop, si misura nel pezzo a venire: “Tv screen”, con sonorità più “pop”, ma che mantengono quest’atmosfera che sa di celluloide e fotogrammi.
“7/8 & 11/8 “, è l’appunto enigmatico che cede le sue sfumature al titolo di ciò che stiamo continuando ad ascoltare, imbevuto di lunghe suggestioni sonore. Un pezzo totalmente musicale, sottolineato da sospiri, forse bisbiglìi.
Il liquido denso ed oleoso, si spande nella partitura di “Ausencia”, interpretato dall’inconfondibile Cesaria Evora.
Un tango essenziale nell’arrangiamento. Un’apparente semplicità che ci porta in stanze di legno imbevuto di umidità e vino sparso a terra.
Violini pizzicati e la voce dell’Evora pigra e magica.
“Cajesukarije cocek” (titolo difficilissimo da pronunciare e scrivere!!), si rifà ad un canto balcanico tradizionale, in un mix di stimolazioni originali. Ma ecco che i giostrai stanno invitando con balli e fuochi gli ospiti di questo straordinario parco di divertimento, suonando la strafamosissima e pruriginosa “Kalasnjikov”.
Anch’esso un brano corale, divertente ed appiccicoso, che quasi da subito prende il ritmo. Un’allegra marcetta ritmata da una singola tromba che segue quasi completamente la partitura cantata.
“Elo Hi” (Canto nero), si avvale della voce dell’indimenticata Ofra Haza. Un canto in lingua ebraica, che inneggia ad una richiesta di ascolto e salvezza ad un Dio che sembra non accorgersi delle pene del’essere umano. Un brano delicato, “essenziale” nella sua composizione. Lirico.
“Deth” e “Dreams”, sono le due tracce che oserei chiamare “sorelle” di questo disco/raccolta.
Hanno infatti tratti somatici simili. Corali e suggestivi. Aperti. Il primo più spigoloso, mentre il secondo intende mantenere un senso diradato della tessitura.
Sorpresona! L’intro recitato in lingua inglese della traccia successiva, è stata regalata da Johnny Depp.
Un leggero accompagnamento di chitarra acustica, segue un carillon, mentre, nel recitato di “American dreamers”, il protagonista si racconta e ci racconta del desiderio di raggiungere l’opportunità di riscatto della propria vita, attraverso il confine messicano e statunitense.
“Talijanska” a suon di fisarmonica, ci lascia danzanti ed anche un poco intorpiditi dal senso del pezzo precedente.
È una danza tipica che intreccia appunto l’elemento fisarmonica con violini. Per poi, in un tappeto drammatico, realizzato da un solo pedale in grave, una voce maschile si inserisce, quasi fosse un’incursione, un qualcuno che si intrufola tra i pensieri. E la melodia riprende, accelerando, quasi in una sorta di follia indotta, per dimenticare. Per non sentire.
Sottolineando - nella ripresa - questa drammatica necessità di ubriacatura collettiva.
“Man from Reno” è forse l’unico pezzo che potrebbe distaccarsi da questa raccolta, senza la necessità di una collocazione cinematografica.
“Lullabye” è indescrivibile. È un insieme di due chitarre acustiche. Sole. Che rimandano a se’ stesse pensieri e parole incomprensibili, ma - per questo - piene di significato proiettato. Man mano, si arricchisce di un tappeto di accordi in tastiera. E poi un oboe. E poi ancora la percezione del “nulla intorno”. Della solitudine raccontata nella riservatezza di un dialogo apparentemente criptato. Dedicato alle orecchie che vogliono ascoltare.
“Underground tango” riprende con la sola parte musicale, il pezzo interpretato dalla Evora.
Sicuramente la più cinematografica tra le riprese che mi vengono in mente, insieme alla più nota scena “del bacio” nel finale di “Nuovo cinema Paradiso” di un nostro Giuseppe Tornatore.
Pennellate di colore abbandonate ed inquadrate su pareti nude e mal intonacate. Mentre la camera scorre tra luoghi visitati in un remoto passato, ed odori e risate ancora fluttuanti nell’aria che sa di chiuso. Un’eco riverberato negli anni. Nelle menti di chi può dire di esserci stato e di averlo vissuto.
Meraviglioso!!!!!
Ed il viaggio finisce con la ripresa della festa che - in qualche maniera - ci ha visti ospiti, figuranti, spettatori e saltimbanco.
“Ederlezi” (part 2), è il sunto in un andamento più lento e stanco, tra trombe sfiatate ed un trombone che vorrebbe suggerire il passo. Ed i cori… ah; quei cori bulgari arricchiti di una linea bassa in controcanto maschile che si allontanano in un polveroso imbrunire.
Insomma carissimi…. Vi è piaciuta la festa?
(Christos)