BLACK AND WHITE AMERICA
Lenny Kravitz
(Roadrunner Records/Atlantic Records)

Non c’è niente da dire: il sound di Lenny Kravitz si è sempre dimostrato molto accattivante, tra il funky ed il soul; tra compressioni vocali a ricordo delle incisioni ‘60s e suoni elettronici.
Insomma; un musicista che fa musica e che canta.
Un lavoro molto impegnativo, forse perché non è stato agevolato da pubblicità e da hit di larga diffusione.
Nato nel 2010 ed uscito nell’agosto del 2011, ha una genesi divertente; nasce con il titolo di “Negrophilia” , ma man mano che il disco andava a dettagliarsi, ha sentito necessaria una differente connotazione.
Entriamo allora nel vivo di questo cd che, nella sua confezione, ha incluso anche un dvd, con alcune versioni acustiche di brani contenuti nel disco.
Black and white America, è la title track e primo brano che troviamo; le corde di una chitarra elettrica “sorda”, introduce nel pieno funky questo pezzo che, nell’aprirsi ha una connotazione molto ‘70s, in una miscela di trombe e suoni elettronici. Cori fantastici ed un luccicante gusto retrò nel bridge, accompagna un intreccio di voci, conducenti al ritornello ed al finale. Brano accattivante, se volete anche un po’ semplice nella tessitura melodica, ma assolutamente molto gustoso. Prego notare il gioco finale della batteria!!
Come on and get me, è pieno rock, duro ed incazzoso, in piena linea con il personaggio tutto jeans attillati sulle natiche sode e sculettanti nel ritmo incessante del mood che non cessa mai di colpire. Senza pietà l’ascoltatore. Batteria in primissimo piano. Asciutta. Lineare. Colpi su colpi, su un tappeto molto efficace.
In the black, il mood viene addolcito, ma sempre sostenuto da un tempo incisivo. Il terzo in sequenza, come per terminare con un morso alla gola, la fuga e la rincorsa ad elevato numero di battiti cardiaci. Un pop rock divertente che forse risulta necessario per apprezzare al meglio il successivo Liquid Jesus.
Una tessitura molta elegante, con una bella sincronizzazione di beat campionati; una struttura molto ben curata, in un canto in falsetto. Prezioso brano, tra i più belli di tutto l’album.
Il quinto pezzo è quasi da considerarsi un classico del rock. Rock star city life è uno dei singoli usciti anticipatamente, che avrebbero dovuto supportare l’uscita di “Negrophilia”, disco che, come ho scritto prima, ha cambiato connotazione in fase di completamento.
Boongie drop, devo dire la verità, non mi colpisce moltissimo. Ma la natura del lavoro, è quello di raccontare la storia dell’artista nel contesto di continue frizioni tutto a stelle e strisce. In questo senso ha un valore anche l’intervento dei rapper Jay-Z e DJ Military. Stand è il singolo che effettivamente ha fatto da bandiera e traino a tutto l’album. Mood ‘60s, fresco ed estivo; utile e tattico in quel giugno 2011.
Superlove mi piace moltissimo. Un’introduzione molto sexy ed accattivante. Un giro bellissimo di bassi ci accompagna in un movimento di onde e fianchi inevitabili. Godendo del solo di chitarra elettrica; breve ma efficace che sottolinea l’andamento di corpi già pienamente assodato e partecipi.
Everithing  rappresenta il ritorno al rock più classico, per un attimo lasciato in sospeso qualche traccia fa. Sebbene non aggiunga nulla al complesso lavoro, è comunque un singolo strutturato bene. Una linea che lo unisce ad alcune sonorità degli Stones e dei Cult. I can’t be without you, inizia bene, ma prosegue come una ballata rock non delle sue più riuscite a mio parere. Curatissima si negli arrangiamenti, nella computerizzazione dei suoni, ma si sa… ogni tanto esistono canzoni inseriti negli album più considerati dagli stessi autori come “riempitivi”. Quasi una stasi in attesa di ascoltare qualcosa di maggiormente stimolante. Ed effettivamente la traccia successiva ripaga con un sound fluido, molto soul. Looking back on love è così un concept di ambientazioni ricercate e strumenti che appaiono come profumo da alcuni fiori tropicali, solo dopo esserti avvicinato. Con curiosità e devozione. Devozione che cresce seguendo la lunga coda tutta dedicata ad una tastiera modulata con un hypersonic. Ecco, magari Lenny… avresti potuto sfumarla là…. Ma il finale ripreso alla fine, non disturba affatto.
Life ain’t ever been better than it is now, è una canzone grintosa. Sincopata. Decisa. Apparentemente “asciugata “ da una linea melodica, svuotata da un ritornello; ma signori, pochi brani costruite in questa maniera sono così efficaci!!! Splendida.
Quasi inaspettatamente, ecco addentrarci in un’atmosfera gospel dove The faith of a child impera senza rufianismo, buonismo o altri orpelli spesso inclusi nei pacchetti di chi il gospel non lo “vive” ma lo utilizza in canzoni dedicate alla pace o alla lotta contro la fame nel mondo.
Sono pessimo nel giudizio, lo so… come so che vi piaccio però alla fine anche così. O no?
E nel divertirmi ad affermarlo con convinzione, ecco che i suoni caraibici di Sunflower mi prendono. Mi raggirano e conquistano. E l’incursione rap di Drake non disturba affatto. Una parentesi sintetica e fortunata in questo brano colorato e pienamente festivaliero.
Dream è la perla lasciata quasi al finale. Una ballata soffice, dove Kravitz dimostra di saper anche accarezzare. Il sogno si svela soffiandoci quasi sopra. Sovrapposizioni di leggere tende conducendo verso la salita di un cielo stellato. L’affermazione di un uomo forse anche stanco, ma deciso a non terminare a lottare, correre libero; di parlare e sapere quanto ci sia dentro di sé. E poi… devo dire la verità; a livello di costruzione di testi, l’ ”amen” ripetuto al finale del ritornello, è forte nella sua delicatezza, nel suo falsetto, ed anche “nuovo” all’ascolto. Un “così sia” raramente ascoltato in giro. Un antico e nuovo che lascia col naso in su. Zitti sotto quello stesso cielo stellato.
Difficile poter “sistemare” e collocare Push, ili brano finale dell’opera, in quanto caleidoscopio di gospel, soul, funky e buona spruzzata rock. È infatti, uno dei singoli più ascoltati di un album che, sebbene abbia al suo interno diversi singoli che lo hanno preceduto ed accompagnato, non molto presenti nelle hit internazionali.
Di sicuro, è un disco da avere, considerando lo spessore, la preziosità compositiva ed arrangiamenti molto… molto interessanti. Non per ultimo i bonus track acustici di alcuni brani inseriti
Unico neo; la grafica e composizione e sovrapposizione di foto come fondi sotto i testi illeggibili. Forse nella versione LP sarebbe tutto più comprensibile… ma per ora, il mio più onesto “no comment” nei confronti dell’abito di un lavoro che forse, sotto questo versante, avrebbe potuto meritare più considerazione.
Ecco; l’ho detto!! (ce l’avevo proprio in gola!!)
Christos
clicca sulla copertina del disco qui sopra,
per poter ascoltare il  lavoro:
BLACK AND WHITE AMERICA
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